Preparazione efficace all'autogestione del diabete mellito.
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Diabete di tipo 1 e alta montagna
Perché l'alta montagna? Diciamo subito che, come tutte le attività sportive di alto livello, anche le salite in alta quota non rientrano nelle normali cure prescritte alle persone con diabete. Nelle nostre intenzioni hanno una triplice valenza:
- Costituiscono innanzitutto un messaggio di speranza per tutti, pazienti e familiari, che vivono ogni giorno la difficoltà di una malattia a torto considerata ancora spesso restrittiva.
- Inoltre, gli atleti di alto livello testimoniano l'importanza di un buon controllo del diabete per vivere e funzionare bene, e dimostrano con il loro esempio che un buon controllo è possibile... anche in circostanze sfavorevoli! Questo messaggio, amplificato dalla risonanza del business dello sport, ha maggiori probabilità di essere ascoltato dai giovani e anche dalle persone con diabete di tipo 2.
3 ottobre. Horombo hut. Giorno dedicato all’acclimatamento. Basil decide di ridurre un po’ la salita rispetto al programma previsto e ci avviamo in direzione delle cosiddette Zebra Rocks, poste sulla via del M. Mawenzi. Da lì, dopo una sosta, saliremo ancora verso una cresta che ci porterà in vista della Sella e torneremo al rifugio Horombo lungo la stradina principale che percorreremo domani in salita. Dislivello totale di oggi, circa 400 m. Gemma, che ieri sera è arrivata affaticata e si sentiva un po’ di febbre, oggi si è riposata e la troviamo di nuovo in forma e con lo zaino pronto per la salita di domani. Come promesso, la direzione del parco ci ha messo a disposizione stanze migliori, di cui si avvantaggiano quelli che stavano peggio. Noi invece non ci spostiamo per timore di vederci affibbiare qualche estraneo nelle cuccette rimaste libere, e manteniamo la formazione a 5 con Marco per terra, e Giansergio che forse si meraviglia un po’ per le nostre sapide battute.
4 ottobre. Da Horombo hut a Kibo hut (4700 m), 10 km. Ormai si cammina in un’aria sottile, ma grazie alla dolcezza del pendio, agli zaini leggeri e al passo lento e regolare imposto dalle nostre guide arriviamo al Kibo hut quasi senza accorgercene. Probabilmente aiutano le frequenti soste, compresa quella più lunga a metà percorso per consumare un pranzo completo. Personalmente non amo le soste frequenti e tanto meno mangiare durante la marcia, e ho presto imparato a difendermi. Come cibo, assaggio appena quello che ci offrono, rinunciando p. es. al pollo arrosto per tenermi leggero; quanto alle soste, nell’ultima parte del percorso chiedo il permesso di non fermarmi, e continuo a camminare piano piano (pole, pole come dicono qui), spesso imitato da qualcuno dei partecipanti. Gemma arriva di nuovo molto affaticata, grazie all’aiuto di uno degli accompagnatori indigeni al quale resterà particolarmente grata. Siamo a una quota da lei mai raggiunta prima, di poco inferiore alla cima del M. Bianco (4810 m), e domani molto opportunamente deciderà di non avventurarsi più in alto.
All’arrivo al Kibo hut mi aspetta una piccola arrabbiatura, quando Basil si avvicina e mi spiega che non c’è posto per noi: ci spettano solo due capanne “moderne” da 4 posti, peraltro non ancora disponibili, mentre gli altri 9 dovranno accontentarsi di un fatiscente dormitorio da 12 contenente sei letti a castello. Questa volta non c’è raccomandazione che tenga (anche perché qui il telefono non funziona) e Basil non sa spiegare come mai la sua prenotazione mediante un biglietto inviato il giorno prima ai responsabili del parco non abbia avuto effetto, mentre il gruppo di tedeschi che ci precede di poco si è comodamente spaparanzato in sei delle otto capanne “moderne” peraltro immediatamente disponibili. Sarà anche per placare il mio nervosismo che poco dopo accetta senza fiatare di ritirare la proposta di partire per la vetta alle 23:30 anziché all’una di notte come previsto, e torna al programma originale: sveglia a mezzanotte, colazione alla mezza e partenza all’una.
L’organizzazione del parco si è responsabilizzata negli anni e attualmente sottopone a ogni partecipante un modulo del Lake Louise test per il mal di montagna, da auto-compilare ogni sera unitamente alla registrazione della saturazione di ossigeno. Mentre la saturazione di tutti si riduce a mano a mano che si sale, in parte forse anche per qualche errore di misurazione, nessuno mostra chiari sintomi di mal di montagna, e verso le 19 ci accingiamo fiduciosi a.… aspettare la sveglia nei nostri sacchi a pelo.
5 ottobre. Da Kibo hut a Uhuru peak (5895 m) e ritorno fino a Horombo hut, +5,5 km, -15 km. Durante la serata e le prime ore della notte sono caduti circa 10 cm di neve, ma al momento di partire il tempo è sereno e la temperatura non sembra particolarmente bassa. Partiamo dunque fiduciosi in fila indiana alla luce delle lampade frontali, al ritmo lento imposto dalle guide. Ben presto però, proprio come era accaduto nel 2002, il passo lentissimo e un venticello che ha preso a soffiare gelido dal basso, impediscono di scaldarsi e fanno soffrire il freddo alla maggior parte di noi. In alto, nel nero assoluto, brillano le lampade frontali dei tedeschi, che sono partiti un’ora prima di noi, e ogni tanto un paio di lucine si staccano dal gruppo e ben presto incrociamo, uno dopo l’altro, ben cinque dei loro che scendono pallidi e stravolti, tenuti per le braccia da uno o due portatori.
Noi procediamo compatti per le prime due ora, sempre affiancati da alcuni portatori che ci tengono d’occhio per intervenire in caso di bisogno e che intanto cantano per tenerci su di morale. Io mi sento bene e per ben tre volte commetto l’errore di controllare le condizioni degli altri per poi accelerare e riguadagnare il mio posto nella fila subito dietro la guida; l’accelerazione però mi spompa e ogni volta impiego più tempo per riprendere il fiato, fino a ripromettermi di non provarci più... ma ormai è troppo tardi.
Dopo due ore di marcia, alla quota di circa 5000-5100 m tre di noi rinunciano: M. avvertendo giramenti di testa e debolezza, come già gli era capitato nell’unica occasione precedente alla stessa quota; Antonella, forse spaventata dai disturbi intestinali che l’avevano afflitta nelle ore precedenti; e Lionello, un po’ impressionato dalla distanza delle lucine dei tedeschi sopra di noi, un po’ per fare compagnia ad Antonella, un po’ perché per ora soddisfatto dei suoi primi “5000”.
Dopo poco, alla prima sosta, Fiammetta appena fermata si sente venir meno e la facciamo sedere: a un breve esame escludo un mal di montagna ma pensiamo piuttosto a un’ipotensione ortostatica e ad ogni buon conto le faccio prendere 25 mg di prednisone. Da allora in poi starà benissimo e arriverà in cima come una scheggia.
Io non mi sento molto bene e dopo un po’ ipotizzo una crisi di fame. Mi sforzo allora di mangiare una delle mie barrette Enervit Sport a base di malto-destrine anche se fatico un po’ perché il freddo l’ha molto indurita. Rapidamente le mie sensazioni migliorano, ma il disturbo si ripresenterà in seguito.
Alle 5:30 finalmente spunta il sole, ma il freddo rimane. All’ultima sosta alcuni chiedono di creare un gruppo più veloce, nella speranza di scaldarsi, mentre io resto indietro. Il loro desiderio di accelerare è però frustrato perché la guida mantiene il suo ritmo lento e io e Leonardo che siamo i più lenti per un po’ non ci distanziamo da loro.
Poco sotto il Gillman’s point (5681 m) dove il sentiero verticale raggiunge l’orlo del cratere, Mi decido a cedere il mio zaino a Basil, un po’ per andare più veloce, un po’ per dare l’esempio a Leonardo che è in crisi (e che accetterà il mio consiglio solo dopo un po’). Raggiunto il Gillman’s point verso le 7, circa 10 minuti dopo gli altri, aspettiamo ancora Leonardo per 5 minuti e quindi ripartiamo per l’ultimo tratto di circa 2 km in falsopiano. Il gruppo continua compatto a un buon ritmo, mentre io vado bene nel primo tratto in leggera discesa, ma appena si ripresenta la salita rallento come un bradipo e solo la spinta – non solo morale – di Paola mi permette di raggiungere la vetta alle 9. Leonardo arriva parecchio dopo di me, spinto dalla forza di volontà e dal desiderio di tenere fede ai numerosi impegni assunti per la vetta, con l’esposizione della bandiera italiana e del gagliardetto della Guardia di Finanza.
Appena arrivato sbando a destra e a sinistra e mi accorgo di essere di nuovo in ipoglicemia: mi soccorreCostanza con un pacchetto di biscotti, perché nel frattempo sono rimasto senza barrette, avendone portato solo una e mezza (!). Dopo di che... resto in mutande, perché la temperatura mite della vetta mi induce a togliere non solo i copri-pantaloni (che ero riuscito a infilare solo all’ultima sosta, ormai al sole) ma anche la calzamaglia, approfittando dell’occasione per togliere il mucchietto di ghiaia che avevo nelle scarpe. A posteriori mi domando se non sia stato anche questo un effetto dell’ipoglicemia. Infine, dopo decine di foto di vetta, verso le 10:15 ci decidiamo ad avviarci per il ritorno e naturalmente, appena ricomincia il vento devo coprirmi di nuovo. Dopo un tentativo dettato dall’orgoglio di riprendermi lo zaino, rifletto meglio sui chilometri che ci aspettano e lo restituisco a Basil.
Al ritorno, poco prima del Gillman’s point, proprio dove nel 2002 uno dei partecipanti aveva avuto sintomi di HACE (Edema Cerebrale da Alta Quota), Leonardo va in crisi e Paola, io e Basil tremiamo. Per fortuna sembra solo un esaurimento fisico, ma gli dò per sicurezza una compressa di prednisone, dopo di che uno dei portatori lo sostiene durante la discesa fino al Kibo hut. Arrivati lì, troviamo che tutti i nostri amici sono già ripartiti per Horombo, sia quelli che hanno rinunciato, sia – dopo un pasto e un breve riposo – il gruppo di quelli che sono arrivati in vetta.
Anche noi, dopo un rapido pranzo e un mini-riposo sulla cuccetta, riprendiamo la strada verso valle, per raggiungere Horombo poco prima di cena. Leonardo, dopo aver mangiato senza riposare, riparte di buon passo senza mostrare traccia di stanchezza: ulteriore prova dell’importanza della gestione della glicemia anche in soggetti “sani”.
Alla fine della cena, la torta che ho ordinato per festeggiare il compleanno di Antonella ci viene servita accompagnata da canti e balli bellissimi e credo che Antonella non dimenticherà facilmente questi auguri.
6 ottobre. Da Horombo hut a Marangu gate, 20 km. Ogni cosa bella ha una fine e percorriamo la interminabile discesa ripensando alle emozioni vissute nei giorni appena passati, scattando le ultime foto e interrompendo il cammino a mezzogiorno per l’ultimo pasto in rifugio.
Arrivati al Marangu gate, dopo le foto conclusive con e senza bandiere, scatta il canto e il ballo di tutta la squadra di Basil e la gran maggioranza di noi ne è inevitabilmente conquistata.
Quindi, dopo la solita ora e mezza di terrore sul vecchio pulmino che viaggia a sinistra, arriviamo in albergo ma l’agognata doccia deve attendere ancora la cerimonia della consegna dei diplomi da parte di Basil e delle mance “obbligate” e dei regali di abbigliamento da montagna da parte nostra ai portatori. Dopo cena, altra festa di compleanno, questa volta opportunamente bagnata da “champagne” e poi finalmente in doccia e a letto fra lenzuola pulite... ci sembra dopo tanto tempo.
Domani alcuni intraprendenti fanno visita a un mercatino in paese. Quindi ci aspetta il volo di ritorno durante il quale, nello scalo di Adis Abeba ci divideremo fra Romani e Milanesi e dopo altre sei ore e mezza torneremo, ricchi della nuova esperienza, alle nostre attività abituali, senza poterci impedire di sognare nuovi progetti...
[In questo viaggio hanno superato per la prima volta i 4000 m: Gemma e Lionello. Hanno superato per la prima volta i 5000 m: Claudio, Federico, Fiammetta, Francesco, Lionello, Marco e Martina.]
Diabete di tipo 1 e alta montagna
Perché l'alta montagna? Diciamo subito che, come tutte le attività sportive di alto livello, anche le salite in alta quota non rientrano nelle normali cure prescritte alle persone con diabete. Nelle nostre intenzioni hanno una triplice valenza:
- Costituiscono innanzitutto un messaggio di speranza per tutti, pazienti e familiari, che vivono ogni giorno la difficoltà di una malattia a torto considerata ancora spesso restrittiva.
- Inoltre, gli atleti di alto livello testimoniano l'importanza di un buon controllo del diabete per vivere e funzionare bene, e dimostrano con il loro esempio che un buon controllo è possibile... anche in circostanze sfavorevoli! Questo messaggio, amplificato dalla risonanza del business dello sport, ha maggiori probabilità di essere ascoltato dai giovani e anche dalle persone con diabete di tipo 2.
- Infine, se si considera che le imprese dei campioni possono attrarre persone verso uno stesso sport, l'alpinismo di alto livello ha il valore aggiunto di promuovere attività come l'escursionismo e il trekking in montagna, che sono particolarmente salutari, perché aerobiche e solitamente prolungato, spesso della durata di quattro-sei ore.